LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente sentenza  nel  ricorso  presentato  da
Alberto De Bonis, nato il 17 giugno 1954, avverso la  sentenza  della
Corte d'appello di Roma del 23 marzo 2010. 
    E' presente l'avv. Daniela Possenti del Foro di Roma,  in  difesa
di De Bonis. 
    Sentita la relazione svolta dal Cons. Gian Giacomo Sandrelli. 
    Sentite  le  requisitorie  del  PG.  (nella  persona  del   Cons.
Gioacchino Izzo) che insta per la riproposizione della  questione  di
legittimita' costituzionale gia' sollecitata dalla sez. V  di  questa
Corte. 
    Il difensore si riporta ai motivi aggiunti in atti e  si  associa
alle conclusioni del PG. 
 
                              In fatto 
 
    La Corte d'appello di Roma ha confermato, il 23  marzo  2010,  la
sentenza di condanna del Tribunale di Roma emessa,  nelle  forme  del
rito abbreviato, nei confronti  di  Alberto  De  Bonis,  accusato  di
bancarotta  fraudolenta  societaria,  in  ragione   della   accertata
falsita' dei bilanci di Sitofim Srl, dichiarata fallita il  2  luglio
1997. 
    La  vicenda  attiene  ad  una  societa'   immobiliare   impegnata
nell'acquisto di un  vasto  complesso  immobiliare  sito  in  Via  IV
Fontane, in Roma e  risultato  inadempiente  nella  restituzione  dei
mutui richiesti per la ristrutturazione del medesimo. 
    Ad una iniziale accusa di bancarotta fraudolenta  patrimoniale  e
documentale seguiva, per contestazione in  udienza  di  primo  grado,
l'attuale addebito modulato sulla  novella  configurazione  dell'art.
223, comma 2, n. l, legge fall., conseguita alla riforma  di  cui  al
d.lgs. 62/01. 
    Avverso la decisione d'appello interpone ricorso la difesa del De
Bonis ed eccepisce: 
        l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10, comma  3  della
legge 251/05 per contrasto con l'art. 117 Cost., art.  7  CEDU,  come
gia' rilevato dalla Cassazione, II Sez. (Ord. 11 giugno 2010); 
        prescrizione del reato a  mente  del  nuovo  art.  157  c.p.,
maturata prima della sentenza della Corte d'appello; 
        violazione degli art. 517 e 522 c.p.p. (ed art.  117  Cost/6,
comma  3,  lettera  b,  CEDU)  nella  parte  in  cui  stabilisce   la
celebrazione di un processo equo) per la  sostituzione  del  capo  di
imputazione all'udienza 22 settembre 2004, pur  nella  identita'  del
fatto contestato; 
        carenza ed illogicita' di motivazione  nell'avere  trascurato
di giustificare il superamento delle dette eccezioni processuali. 
    In data 13 maggio 2011 sono pervenuti  motivi  aggiunti  a  firma
dell'avv. Possenti (motivi depositati tempestivamente presso C.  App.
Roma). 
 
                             In diritto 
 
    Questa sezione della Corte  di  cassazione  ha  cosi'  deciso  in
presenza di analoga eccezione difensiva con ordinanza del 27  gennaio
2011: 
    «... come e' noto,  l'art.  10,  legge  n.  251  del  2005  detta
disposizioni transitorie sull'applicazione dei termini prescrizionali
secondo i diversi criteri stabiliti dalla  stessa  legge  a  modifica
della previsione dell'art.157 cod. pen. In particolare, per cio'  che
qui interessa, il comma 3 dell'articolo  citato,  nella  formulazione
conseguente   alla   declaratoria    di    parziale    illegittimita'
costituzionale  di  cui  a  Corte  Cost.,  sent.  n.  393  del  2006,
stabilisce che i termini computati secondo la normativa sopravvenuta,
ove piu' brevi di quelli individuati  alla  legislazione  precedente,
vengano applicati ai procedimenti in corso alla data  di  entrata  in
vigore della legge ad esclusione di quelli gia' pendenti in grado  di
appello o dinanzi alla Corte di Cassazione. 
    Posto che la disciplina dei termini  di  prescrizione  ha  natura
sostanziale (Sez. 5, n. 12766 del 16 febbraio 2010,  imp.  Meggiorin,
Rv.246877) ed e'  pertanto  soggetta  all'applicazione  dei  principi
generali di cui all'art. 2 cod. pen. in tema di retroattivita'  della
legge piu' favorevole all'imputato, la norma in  oggetto  pone  nella
specie   un   limite   a   tale   generale    effetto    retroattivo,
identificandolo, nello sviluppo cronologico del  procedimento,  nella
pendenza del procedimento in grado di appello; per cui, laddove detta
pendenza abbia avuto inizio prima dell'entrata in vigore della  legge
introduttiva  delle  nuove  modalita'  di  calcolo  dei  termini   di
prescrizione,  queste  ultime  non  potranno  essere  applicate   nel
procedimento, che continuera' ad essere regolato a questi fini  dalla
normativa previgente. Come rammentato dallo stesso ricorrente, questa
Corte  ha  recentemente  affermato  che  il  dato  processuale  della
pendenza del procedimento in  grado  d'appello  del  procedimento  e'
determinato dalla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado
(Sez. U, n. 47008 del 29  ottobre  2009,  imp.  D'Amato,  Rv.244810).
Questa posizione, ribadita anche da decisioni successive (Sez. 6,  n.
8983 del 16 dicembre 2009, imp. Torrisi, Rv.246406), e' coerente  con
la attuale formulazione dell'art. 10, comma 3, legge n. 251 del 2005,
che non radica il  discrimine  fra  le  aree  di  operativita'  delle
normative succedutesi in  un  atto  processuale  determinato,  ma  lo
indica invece sostanzialmente nell'inizio di una fase processuale. 
    Ragionevole   e    consequenziale    e',    a    questo    punto,
un'interpretazione  che  colloca  il  limite  nell'atto   formalmente
conclusivo della fase  immediatamente  precedente,  ossia  quella  di
primo grado; atto che deve essere individuato nella  pronuncia  della
sentenza di condanna che definisce quella fase, ponendosi  per  altro
verso  come  affermazione  particolarmente  qualificata,  in   quanto
susseguente alla verifica del contraddittorio  dibattimentale,  della
volonta' punitiva dell'ordinamento, come tale indicata  in  posizione
preminente quale atto interruttivo della  prescrizione  dall'art.160,
comma 1, cod. pen. 
    Contrariamente a  quanto  sostenuto  nel  ricorso,  il  principio
appena  enunciato  non  e'  posto   in   discussione   dall'indirizzo
giurisprudenziale per il quale, laddove il giudizio di primo grado si
sia concluso con una sentenza di assoluzione, il momento determinante
per l'instaurarsi della pendenza in  grado  di  appello  deve  essere
identificato nell'emissione del decreto di citazione a  giudizio  per
tale grado. L'orientamento in esame (Sez. 6, n. 7112 del 25  novembre
2008,  imp.   Perrone,   Rv.242421)   e'   fondato   invero   proprio
sull'impossibilita'  di  estendere  le  connotazioni   conclusive   e
definitorie della fase di primo  grado,  proprie  della  sentenza  di
condanna,  alla  sentenza  di  assoluzione,  significativamente   non
indicata fra gli atti interruttivi della prescrizione; in  tal  senso
il criterio adottato dalla citata decisione delle  Sezioni  unite  di
questa Corte viene ad essere a contrariis confermato». 
    Tanto premesso, la questione di legittimita'  costituzionale  non
puo' presentarsi al Collegio come manifestamente infondata. 
    A  siffatta  conclusione  e'  pervenuta  anche   una   precedente
declaratoria di non manifesta  infondatezza  della  questione  (Cass.
Sez. 2 del 27 maggio 2010, De Giovanni, CED  Cass.  247321),  che  ha
ritenuto  che  il  principio  di  retroattivita'  della  legge   piu'
favorevole sia sancito sia a livello  internazionale  sia  a  livello
comunitario,  con  richiamo  all'art.  15,   comma   1,   del   Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato  a  New
York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo  con  legge  n.
881 del 1977, stabilisce che «se, posteriormente alla commissione  di
un reato, la legge prevede l'applicazione di una pena piu' lieve,  il
colpevole deve beneficiarne», «disposizione alla quale si collega  la
riserva  dell'Italia  nel   senso   dell'applicazione   limitata   ai
procedimenti in corso, e non anche a quelli nei quali sia intervenuta
una decisione definitiva». 
    Norma  di  carattere  internazionale  che  ove  sia   parametrata
all'art. 117, comma 1 Cost., rende non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale della disciplina transitoria
in esame, perche' priva l'imputato, il cui processo sia gia' pendente
in appello o in Cassazione, dell'ottemperanza  alla  regola  cogente,
imposta dalla norma pattizia per la quale la  legge  piu'  favorevole
deve essere di immediata applicazione, senza che le deroghe  disposte
dalla legge ordinaria possano essere  giustificate  per  effetto  del
bilanciamento con interessi di analogo rilievo. 
    Piu' decisioni della Corte costituzionale, da ultima Corte Cost.,
sent. n. 93 del 2010, hanno peraltro costantemente affermato che  «le
norme della CEDU, nel significato loro attribuito dalla Corte europea
dei diritti dell'uomo, specificamente  istituita  per  dare  ad  esse
interpretazione ed applicazione, integrano, quali norme interposte il
parametro costituzionale espresso dall'art. 117 Cost., comma 1, nella
parte in cui esso impone la conformazione della legislazione  interna
ai vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali" (sentenze n. 317
e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008)». 
    Ne consegue  che  «nel  caso  in  cui  si  profili  un  eventuale
contrasto tra  una  norma  interna  e  una  norma  CEDU,  il  giudice
nazionale  comune,  deve,  quindi,  preventivamente   verificare   la
praticabilita' di una interpretazione della prima conforme alla norma
convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di  ermeneutica
giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale  soluzione  risulti
impercorribile,  non  potendo  egli  disapplicare  la  norma  interna
contrastante, deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo
questione di legittimita' costituzionale in riferimento al  parametro
dianzi indicato». La Grande Camera della Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, in seguito al ricorso n.  10249  del  2003  presentato  da
Scoppola Franco, con sentenza del 17 settembre 2009 ha  imposto  alla
Stato italiano di porre fine alla violazione degli artt. 6 e 7  della
Convenzione e di assicurare che la pena  dell'ergastolo  inflitta  al
ricorrente venisse sostituita con pena non superiore a  quella  della
reclusione di anni trenta. La CEDU e' pervenuta alla citata decisione
avendo affermato che l'art. 7 della Convenzione,  che  stabilisce  il
principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale,
incorpora  anche  il  corollario   del   diritto   dell'accusato   al
trattamento piu' lieve. In  particolare,  per  quel  che  rileva  nel
presente procedimento, dopo aver  rammentato  le  proprie  precedenti
pronunce sull'interpretazione dell'art. 7 della Convenzione, la Corte
europea ha stabilito che la  sopravvenienza  di  norme  di  carattere
internazionale e di pronunce applicative  e  interpretative  di  esse
imponeva un «approccio  dinamico  ed  evolutivo  nell'interpretazione
dell'art. 7». Allo  scopo  richiamava  l'art.  491  della  Carta  dei
diritti fondamentali della Unione europea, la sentenza 3 maggio  2005
della Corte di giustizia delle Comunita' europee e lo stesso  art.  2
cod. pen. italiano. Affermava in conseguenza il principio secondo  il
quale «l'art. 71 della Convenzione non  sancisce  solo  il  principio
della irretroattivita' della legge  penale  piu'  severa,  ma  anche,
implicitamente, il principio della retroattivita' della legge  penale
meno severa», per cui «se la legge penale in vigore al momento  della
perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori  adottate  prima
della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse,  il  giudice
deve applicare  quella  le  cui  disposizioni  sono  piu'  favorevoli
all'imputato». 
    Alla luce di queste  considerazioni,  rilevato  che  la  proposta
questione di legittimita' costituzionale e', altresi', rilevante  nel
presente giudizio, poiche' la disciplina prescrittiva  del  reato  di
bancarotta aggravato e' difforme rispetto alla normativa  previgente,
prevedendo termini piu' brevi di estinzione del reato, si  impone  la
trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale,  con  sospensione
del presente giudizio, per il  vaglio  della  rilevata  questione  di
legittimita'  della  disciplina  transitoria  prevista  dalla   legge
251/05, disponendo la sospensione del presente procedimento.